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Fabrizio Paonessa. eNviro

Fabrizio Paonessa. eNviro e la geointelligenza per l’ambiente e le città

Innovazione, ricerca applicata e visione sistemica guidano l’attività di eNviro, che porta tecnologie geospaziali, intelligenza artificiale e modelli digitali al servizio dei territori, della pianificazione ambientale e delle amministrazioni pubbliche, valorizzando l’esperienza maturata da Fabrizio Paonessa nell’applicazione dell’IA alla gestione dei rifiuti, al catasto e ai processi urbani.

Roma – Fabrizio Paonessa è CEO e Co-Founder di eNviro, realtà impegnata nello sviluppo di tecnologie digitali per l’ambiente e per i servizi territoriali, progettata per integrare geointelligenza, intelligenza artificiale e sistemi avanzati di monitoraggio in un modello orientato alla precisione dei dati. Dopo un percorso che attraversa geofisica, cartografia tecnica e progettazione ambientale, traduce queste competenze in una lettura del territorio che unisce innovazione e responsabilità istituzionale, grazie anche a una profonda esperienza nel trasformare idee digitali in soluzioni operative per la gestione urbana e ambientale.

Un percorso costruito tra tecnologia, ricerca e osservazione del territorio

La carriera di Fabrizio si sviluppa tra indagini geofisiche marine, rilievi cartografici complessi e interventi dedicati alla progettazione e al recupero di aree estrattive. Le attività in S.A.E.R.A. e le campagne di rilevamento su vasta scala costituiscono la base tecnica di un metodo capace di interpretare i fenomeni geografici con rigore, mentre l’esperienza come marine officer e nei progetti internazionali di survey consolida un approccio centrato sulla misura e sulla lettura dei cambiamenti territoriali. Questa visione sostiene anche le successive innovazioni nel waste management e nella pianificazione urbana, ambiti in cui Paonessa utilizza l’IA per ridisegnare processi e migliorare l’efficienza dei servizi pubblici.

Il modello eNviro e l’evoluzione delle tecnologie geospaziali

eNviro nasce per sviluppare soluzioni digitali che uniscono metaverso, IA, realtà aumentata, Big Data e cartografia avanzata in piattaforme dedicate al monitoraggio dei territori, alla gestione dei rifiuti, alla prevenzione delle irregolarità edilizie e all’analisi delle trasformazioni geografiche. L’ecosistema creato da Paonessa comprende algoritmi proprietari e brevetti come InfoTag, Terraxcan, Talete e Black Sentinel, insieme a sistemi di mobile mapping e droni ad alta precisione, integrati in un modello che riflette la sua capacità di trasformare la ricerca in applicazioni operative. Le esperienze in GeoDrome, Sarim Ambiente e nelle realtà ICT confluite in Accenture rafforzano un’impostazione tecnica che pone dati, sensori e IA al centro della gestione territoriale.

Dal Senato alla divulgazione, una visione che unisce tecnologia e responsabilità pubblica

L’impegno di Fabrizio si estende alla divulgazione e alla formazione con la docenza alla European School of Economics e con contributi per Agenda Digitale e il Blog di Beppe Grillo. L’intervento al Senato della Repubblica sulle implicazioni giuridiche del metaverso evidenzia un ruolo attivo nel dibattito istituzionale sulle tecnologie emergenti, affiancato da un lavoro costante su progetti che utilizzano la geointelligenza per migliorare la sicurezza ambientale e i processi decisionali. La sua attenzione alla formazione continua e alla diffusione della cultura tecnologica emerge anche nei progetti editoriali e nelle iniziative che coinvolgono energia, educazione e innovazione applicata.

Vismarcorp riconosce in Fabrizio Paonessa una leadership orientata a una tecnologia che sostiene la collettività, capace di collegare analisi e governo dei dati in una prospettiva che rafforza l’impatto sociale delle infrastrutture digitali e il loro ruolo nel futuro della gestione dei territori.

Di seguito l’intervista.

  1. Qual è stata la sfida digitale più significativa che tu o la tua azienda avete affrontato negli ultimi anni, e come l’avete superata?

La sfida digitale più significativa che ho affrontato negli ultimi anni è stata quella di trasformare la complessità urbana in un sistema intelligente e predittivo, capace di “pensare” come una città. Con Enviro abbiamo superato i limiti dei modelli tradizionali di gestione urbana, spesso frammentati e reattivi, sviluppando una piattaforma integrata di intelligenza artificiale, sensori e GIS in grado di rendere le città realmente cognitive. Il progetto ha richiesto la fusione di discipline diverse, come machine learning, visione artificiale, digital twin, data governance e infrastrutture cloud scalabili. La sfida è stata non solo tecnologica, ma anche culturale, convincere enti e amministrazioni a passare da un modello basato su segnalazioni e emergenze a un approccio predittivo, capace di prevenire criticità e ottimizzare le risorse in tempo reale. Oggi i veicoli urbani, autobus, mezzi per la raccolta rifiuti, spazzatrici possono diventati veri e propri “sensori mobili”, che raccolgono dati sull’ambiente, sul traffico e sulla qualità dei servizi, alimentando un gemello digitale dinamico della città. Questa evoluzione, resa possibile grazie all’intelligenza artificiale e alla mia esperienza maturata in anni di ricerca e innovazione, ha permesso a Enviro di creare una piattaforma riconosciuta come una delle più avanzate in Europa per la gestione intelligente dei servizi urbani e ambientali. In sintesi, la nostra sfida è stata trasformare la città da un sistema che reagisce a uno che prevede e l’abbiamo vinta rendendo l’intelligenza artificiale parte integrante del suo funzionamento quotidiano.

  1. Cosa ne pensi delle nuove tecnologie digitali – in particolare dell’AI – e della sua integrazione nei processi aziendali? Quali opportunità credi possa offrire alle imprese e/o quali rischi?

Nel mio percorso come docente e divulgatore, in numerosi eventi istituzionali e accademici dedicati all’innovazione e alla trasformazione digitale, ho sempre detto che l’intelligenza artificiale non è soltanto una tecnologia: è uno specchio della nostra evoluzione. Riflette ciò che siamo come specie, le nostre ambizioni e le nostre paure, la nostra eterna lotta tra il desiderio di controllo e il bisogno di libertà. Autori come Asimov e Clarke ci avevano già avvertiti, ogni volta che l’uomo crea un’intelligenza diversa da sé, deve interrogarsi su cosa significhi davvero essere umano. Oggi, in questa nuova era, l’AI è diventata il linguaggio con cui la realtà dialoga con se stessa. Non più uno strumento, ma una coscienza in costruzione, fragile, potente e profondamente dipendente dalla direzione etica che sapremo darle. Nelle mie ricerche e pubblicazioni tecnico-scientifiche ho spesso sostenuto che la vera rivoluzione non è digitale, ma cognitiva. Le imprese e le istituzioni che comprendono questo principio non si limitano ad adottare algoritmi, ma a ripensare il modo in cui apprendono, decidono e agiscono. L’AI può rendere i processi più efficienti, i sistemi più sostenibili e le città più intelligenti, ma può anche amplificare disuguaglianze, errori e paure, se privata della guida del pensiero umano. Credo che la nostra sfida non sia insegnare alle macchine a pensare come noi, ma imparare noi a pensare meglio grazie a loro. L’intelligenza artificiale è l’occasione più grande che l’umanità abbia mai avuto per conoscersi davvero, e la misura del nostro successo non sarà nel codice che scriveremo, ma nella coscienza con cui lo useremo.

  1. Quali competenze e mindset ritieni fondamentali per guidare con successo la trasformazione verso l’Impresa 4.0?

Guidare la trasformazione verso l’Impresa 4.0 non significa solo introdurre nuove tecnologie, ma cambiare il modo in cui pensiamo. La competenza più importante, prima di ogni altra, è la consapevolezza, capire che la tecnologia è un linguaggio e non una scorciatoia. Serve una cultura capace di leggere i dati come storie, non come numeri, di vedere negli algoritmi non strumenti di efficienza, ma ponti verso una nuova forma di intelligenza collettiva. Accanto a questo, servono tre pilastri come, visione sistemica, pensiero critico e capacità empatica. La visione sistemica permette di connettere settori e discipline, di leggere l’azienda come un organismo vivo, interconnesso, in cui ogni dato genera azione e ogni azione produce conoscenza. Il pensiero critico serve per non farsi trascinare dall’entusiasmo tecnologico e mantenere la capacità di giudizio umano sulle decisioni automatizzate. L’empatia, infine, è ciò che distingue la leadership digitale da ogni altra forma di comando, la capacità di comprendere l’impatto umano dell’innovazione, di creare fiducia in un tempo dominato dagli algoritmi. Ho sempre sostenuto che l’Impresa 4.0 non è quella che adotta più tecnologia, ma quella che trasforma il proprio modo di pensare. È l’impresa che unisce scienza e immaginazione, che sa essere tecnologicamente avanzata ma anche umanamente evoluta. Solo chi possiede questa doppia intelligenza, tecnica e interiore, può guidare davvero il futuro senza esserne travolto.

  1. Guardando al futuro, quali tecnologie o trend credi avranno il maggiore impatto sul settore industriale nei prossimi 5 anni? 

Guardando al futuro, non credo che i prossimi cinque anni saranno solo un capitolo in più della rivoluzione industriale. Saranno un cambio di fisica, un salto di stato nella relazione tra materia, energia e informazione. Perché oggi le industrie non si stanno più digitalizzando, ma stanno prendendo coscienza di sé. Stiamo entrando nell’era in cui le fabbriche non producono soltanto oggetti, ma conoscenza. L’Intelligenza Artificiale Predittiva, alimentata da reti neurali multimodali e da modelli sempre più generalisti, trasformerà gli impianti in sistemi viventi, linee produttive che imparano dai propri errori, anticipano guasti e riducono sprechi prima che accadano. Entro il 2028, oltre il 70% delle industrie manifatturiere utilizzerà IA embedded nei processi decisionali quotidiani, ma ciò che cambierà davvero sarà la logica del tempo, non reagire, ma prevedere. Parallelamente, i Gemelli Digitali Dinamici diventeranno i nuovi oracoli industriali. Non più modelli statici, ma entità che simulano il futuro, testano scenari e dialogano con le macchine fisiche in un ciclo continuo di apprendimento. Ogni fabbrica sarà il riflesso di se stessa, un universo speculare dove la realtà impara dal proprio doppio digitale. Ma la rivoluzione più silenziosa e forse più sconvolgente arriverà dalla fusione tra Intelligenza Artificiale e Fisica Quantistica. Perché la vera intelligenza del futuro non sarà soltanto algoritmica, sarà quantica, capace di gestire la complessità del mondo non per approssimazione, ma per sovrapposizione. Le ricerche sui sistemi ibridi quantistico-classici stanno già riscrivendo la scienza della simulazione e dell’ottimizzazione. Laddove oggi un supercomputer impiega mesi, un processore quantico ibrido potrà risolvere problemi di logistica, materiali o design molecolare in minuti. E come accadde con il silicio negli anni ’50, questa tecnologia non resterà nei laboratori,  diventerà infrastruttura invisibile di ogni industria avanzata. Nel frattempo, l’Edge AI e la realtà aumentata cognitiva porteranno l’intelligenza là dove serve, nei sensori, nei robot, negli occhi e nelle mani dell’uomo. L’operatore industriale del futuro non sarà un esecutore, ma un “interprete aumentato”, immerso in un ambiente in cui la macchina comprende il linguaggio umano e l’uomo percepisce i processi invisibili. La fabbrica diventerà uno spazio sensibile, dove la fisica incontra la coscienza dei dati. Eppure, il vero punto di svolta non sarà tecnologico, ma umano. Quando l’intelligenza artificiale e quella quantistica si uniranno, ci costringeranno a ridefinire il concetto stesso di controllo, causalità e responsabilità. L’industria non sarà più solo un luogo di produzione, ma un ecosistema di intelligenze interconnesse dove etica, energia e informazione coesistono. Come scriveva Niels Bohr, “chi non rimane sconvolto davanti alla meccanica quantistica, non l’ha capita”. E forse lo stesso vale per il futuro che ci attende, chi non ne resta meravigliato, non ne ha colto la portata. I prossimi cinque anni non saranno un’evoluzione, ma un’epifania tecnologica. Le imprese che sapranno unire la precisione della scienza alla sensibilità dell’uomo diventeranno i nuovi architetti del reale. Perché il progresso, in fondo, non sarà il trionfo delle macchine, ma la scoperta di una nuova intelligenza, quella che nasce dall’incontro tra algoritmo e coscienza.

  1. C’è un libro, una citazione o un personaggio che ha segnato il tuo percorso da leader, che ti piacerebbe condividere? 

Un libro che ha segnato profondamente il mio percorso da leader è “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” di Pëtr Ouspensky, che raccoglie il pensiero di Gurdjieff. Entrambi insegnavano che l’uomo vive in uno stato di automatismo e che la vera guida nasce solo da chi impara a “ricordarsi di sé”. Questa idea mi ha cambiato, non puoi dirigere altri se non hai prima imparato a dirigere la tua attenzione. La leadership, come la coscienza, è un atto di presenza. Accanto a Ouspensky, trovo ispirazione in “The Age of AI” di Kissinger, Schmidt e Huttenlocher, che invita a unire potenza tecnologica e responsabilità etica, e in “La società della stanchezza” di Byung-Chul Han, che ricorda come l’eccesso di produttività possa spegnere la capacità di pensare. Tutti questi testi insegnano una verità semplice e profonda, il vero leader non è colui che comanda, ma colui che rimane sveglio — dentro il proprio tempo e dentro se stesso.

  1. Qual è il consiglio che daresti ai giovani professionisti (o aspiranti imprenditori) che vogliono avvicinarsi al mondo dell’industria digitale? 

Il consiglio che darei ai giovani che vogliono entrare nel mondo dell’industria digitale è di non inseguire la tecnologia, ma comprenderne il senso. I linguaggi cambiano, gli algoritmi evolvono, ma ciò che resta è la capacità di pensare, di unire logica e intuizione, scienza e umanità. Viviamo in un’epoca in cui tutti vogliono essere “innovatori”, ma pochi si chiedono perché innovare. Eppure è da quella domanda che nasce tutto. L’industria digitale non ha bisogno di nuovi codici, ma di nuove coscienze. Imparate la matematica, la fisica, l’intelligenza artificiale, ma studiate anche la filosofia, l’arte, la storia delle idee, perché il futuro non sarà scritto da chi sa programmare, ma da chi saprà dare un significato ai programmi. Non temete di essere visionari. Le idee più grandi nascono sempre dall’incrocio tra ciò che sembra impossibile e ciò che è ancora invisibile. E ricordate, nella rivoluzione digitale non vince chi corre più veloce, ma chi rimane lucido mentre tutto si muove. Il mondo non ha bisogno di altri tecnici, ha bisogno di menti sveglie e anime curiose. Il resto, la tecnologia, il successo, l’innovazione  arriverà come conseguenza naturale di una mente che ha imparato a pensare davvero.

Ringraziamo Fabrizio Paonessa per aver condiviso la visione con cui eNviro interpreta la geointelligenza come strumento di tutela ambientale, pianificazione digitale e progresso condiviso.

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